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24 novembre 2020
di Eugenio Leopardi
Rif. rivista N8 NUOVO COLLEGAMENTO 2020

La seconda ondata pandemica, forse ancora più della prima, ha messo in evidenza alcuni limiti strutturali della sanità italiana. Sono trascorsi solo due anni da quando, anche dalle pagine della nostra rivista, abbiamo festeggiato i 40 anni di quello che, a piena ragione, consideriamo il miglior servizio sanitario nazionale al mondo.
Non ci siamo ricreduti, sia chiaro. Tuttavia non si possono nascondere i mal funzionamenti operativi, ovvero le falle nella declinazione pratica di un sistema che riteniamo ancora oggi essere un fiore all'occhiello delle nostra nazione.
Anzitutto, la medicina territoriale. Il suo fallimento è sotto gli occhi di tutti: se si è reso necessario un secondo lockdown è anche perché i pronto soccorso non potevano reggere di fronte all'affollamento causato dalla lontananza sul territorio tra medici e assistiti. Se i cittadini non trovano risposte alle proprie domande stando a casa, o se il medico di riferimento non riceve e non risponde al telefono, dove vanno? Si rivolgono al pronto soccorso. Lo hanno sempre fatto, se ci pensiamo un attimo.
Ma la medicina territoriale non è ascrivibile solo ai medici di medicina generale. E' rappresentata - o meglio dovrebbe esserlo - da un rapporto sinergico e complementare tra medici e farmacie. Così non è forse mai stato e la pandemia ha sollevato il coperchio su questa mancanza di collaborazione. Di più: ha mostrato grandi differenze, talvolta emblematiche. Ha, in singoli casi, evidenziato il divario tra un farmacista sempre presente e raggiungibile e alcuni medici spesso introvabili. Ne parliamo in questo numero e non mi dilungo su questo punto, anche se una riflessione sui criteri della quota capitaria andrebbe fatta.
Ciò che, invece, mi interessa evidenziare è la necessità di trarre da questa terribile situazione una lezione per il futuro e uno stimolo per rivedere e aggiustare le falle nell'assistenza sanitaria che si sono evidenziate. Per quanto riguarda la nostra categoria, occorre rafforzare l'integrazione con il Ssn e con i medici di medicina generale. Questi devono comprendere che la farmacia non è una minaccia alla loro autonomia nel prendere in carico gli assistiti, ma un alleato sempre disponibile a collaborare.
Qualche esempio? Ci siamo offerti per fare le vaccinazioni e abbiamo studiato per espletare con il massimo della professionalità questo servizio. Niente: il Comitato Tecnico Scientifico (composto da medici e privo di farmacisti) si è messo di traverso recependo le perplessità delle rappresentanze dei medici. Se la Regione Lazio si è vista bloccare la direttiva che prevedeva la possibilità di erogare le vaccinazioni in farmacia, da altre parti si sono contrastate le disponibilità offerte dai farmacisti di somministrare tamponi rapidi, test sierologici e via dicendo. Fino all'assurdo di contrastare ideologicamente il concetto di prevenzione suggerita dal farmacista e da attuare attraverso corretti stili di vita e l'integrazione alimentare. Parleremo anche di questo nelle pagine che seguono.
Se da un lato la farmacia chiede di essere più considerata e di contare di più all'interno del sistema sanitario, essa deve, al tempo stesso, rivendicare maggiore dignità. A cominciare dai protocolli di sicurezza che non sono arrivati, lasciando i farmacisti operare a mani nude a contatto con i cittadini e con il virus.
Credo che la dimostrazione data dalle farmacie durante l'emergenza pandemica e tutto ciò che i farmacisti continueranno a fare a supporto dei cittadini ci devono fare pretendere un adeguato riconoscimento sia in termini professionali che economici. Ritengo che il farmacista debba essere annoverato tra gli operatori sanitari. Il riconoscimento di questa qualifica porterebbe con sé anche i necessari adeguamenti economici. In definitiva, non possiamo più avere nuove mansioni se queste non ci vengono adeguatamente riconosciute e remunerate. Questo va detto a gran voce.
Parliamo da tempo di una farmacia in evoluzione e della farmacia del futuro. Ora, l'emergenza ha accelerato questo processo che, tuttavia, non sarà possibile fintanto che non cambieranno i contratti di lavoro e i criteri di remunerazione delle farmacie. La proposta di Utifar? Un nuovo criterio di marginalità per il farmaco accompagnato da riconoscimenti specifici per le funzioni svolte.
Lo diciamo da anni e sono certo che, a fine emergenza, avremo modo di riparlarne.

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