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REGIONALISMO SCONNESSO
In ambito sanitario, le differenze esistenti tra le regioni del nord Italia e quelle del sud sono, già oggi, molto evidenti. Inoltre, alcune normative che a breve potrebbero essere approvate rischiano di aggravare la situazione, favorendo ancor più la disomogeneità dell'offerta sanitaria. La crescente richiesta di autonomia delle Regioni, porta con sé la conseguenza che esse non sempre siano in grado di garantire ai cittadini la tutela del bene più prezioso: la salute. Non si tratta solo di una questione di risorse differenti tra le varie regioni. La regionalizzazione eccessiva determina scelte autonome estremamente differenziate e, da questo punto di vista, i Lea rischiano di essere uno strumento valido, ma insufficiente per garantire pari possibilità di cura in tutto il territorio nazionale. Ci vorrebbe maggiore integrazione nella sanità del nostro Paese. Invece, la parola che oggi si sente ripetere, quasi come un mantra, è "autonomia", ovvero l'esatto contrario dell'integrazione. La tendenza è questa, purtroppo, e si manifesta a molti livelli. Di certo, la si vede a livello di volontà politica, di nuove leggi e di percorsi che vanno nella direzione di una sempre più spinta autonomia fiscale e sanitaria. Bisognerebbe invece comprendere che su materie quali la scuola e la sanità, scelte di maggiore autonomia non vanno a favore del cittadino, ma a suo discapito.
Rispetto a questa situazione, mi preme focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti. In primo luogo, vanno considerate le conseguenze. Un servizio sanitario non armonico sul territorio nazionale, causa già oggi una serie di problematiche che non possono lasciare indifferente il mondo della farmacia. Il turismo sanitario, per esempio, è un fenomeno non degno di una nazione moderna.
Parlando invece di prevenzione, ci troviamo in una situazione nella quale alcuni cittadini sono invitati ad accedere a screening gratuiti molto ben condotti, e cittadini di regioni vicine che non trovano, nei propri centri di riferimento, attrezzature altrettanto avanzate o che sono scoraggiati a fare monitoraggio e prevenzione a causa delle lunghissime liste d'attesa.
è chiaro che la sanità non possa essere uguale dappertutto. I centri di eccellenza esistono e hanno senso di esistere, per carità. Del resto, lo sviluppo tecnologico e la robotica tendono inesorabilmente ad ampliare questo fenomeno. Ma la questione non è la coesistenza di centri di eccellenza e di realtà ospedaliere più defilate. Il problema sta nella mancanza di un'adeguata integrazione delle differenti realtà, un'integrazione volta ad assicurare la migliore sanità e il miglior servizio a tutti i cittadini.
Da questo punto di vista noi farmacisti, insieme ai medici e alle altre professioni sanitarie, possiamo svolgere un ruolo molto importante. Noi siamo le sentinelle sul territorio, ovvero coloro che, nelle varie regioni, vivono in prima persona le peculiarità dei differenti modelli di sanità regionali. Insieme, possiamo quindi monitorare l'andamento della sanità, segnalare ai colleghi e al legislatore gli eventuali correttivi che servono, le cose che non funzionano e quelle che, al contrario, potrebbero essere prese ad esempio anche in altre regioni. Noi professionisti sanitari, pur operando nelle differenti regioni, siamo in rete a livello nazionale attraverso le nostre associazioni di categoria e i nostri Ordini professionali. Forti di questo, possiamo diventare il legante di una sanità sempre più territorializzata per riportarla ad una uniformità maggiore.
In un recente editoriale, che ho letto sull'ultimo numero del Bollettino dell'Ordine dei medici chirurgi e odontoiatri della provincia di Napoli, Silvestro Scotti, Segretario Generale della FIMMG, ha evidenziato la propria preoccupazione per un regionalismo sempre più spinto che scaturirebbe dall'imminente rettifica delle preintese siglate tra alcune regioni del nord e lo scorso governo nella direzione di una totale autonomia fiscale. Mi sento di condividere tale preoccupazione di Scotti per "un modello di federalismo sempre più egoista e concorrenziale". Una preoccupazione che non nasce dalla volontà di difendere un modello di sanità incentrato sulla cooperazione e sull'universalismo, ma prima ancora dal rendersi conto che chi ne risente è la popolazione, sempre più abbandonata e sempre meno protetta dal sistema sanitario.
I medici, i farmacisti e gli altri operatori sanitari, dal loro terreno privilegiato del quotidiano contatto diretto con i pazienti, queste cose le vedono. è giunta l'ora di denunciarle con forza, affinché la politica e il legislatore si accorgano dei danni che questa tendenza autonomista può arrecare alla popolazione quando declinata in termini sanitari e di gestione delle risorse a disposizione della sanità pubblica.