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15 marzo 2021
di Eugenio Leopardi
Rif. rivista N2 NUOVO COLLEGAMENTO 2021

Stiamo entrando nel pieno della campagna vaccinale contro il Sars-cov2. Sulle diverse reti televisive, ormai da settimane, si rincorrono immagini di fiale di vaccini e operatori che, con cura, le suddividono in dosi.
A differenza di altri vaccini, non si tratta di siringhe predosate, ma occorre un'accurata manualità nella preparazione. Ed ecco, allora, che si vedono medici ed infermieri intenti in queste delicate pratiche preparatorie. Ma nessuno ha pensato di coinvolgere i farmacisti.
Eppure sarebbe il nostro "mestiere" quello di allestire i medicinali.
Ricordate le polemiche iniziali quando non si comprendeva bene se una fiala contenesse 5 o 6 dosi di vaccino? Forse, un farmacista avrebbe saputo dare la risposta in pochi minuti, evitando una confusione che ha avuto dei tratti perfino grotteschi.
Ma come mai rimaniamo sempre fuori dai giochi? Perché la nostra professione è considerata solo quando la si esercita all'interno delle quattro mura di una farmacia?
Per dare una risposta a queste domande occorrerebbe fare un'accurata analisi dell'evoluzione della nostra professione nel corso degli anni. Tuttavia, anche se ci volessimo soffermare agli ultimi mesi, potremmo vedere che le organizzazioni di categoria spesso non riescono a portare avanti una visione unitaria. Sembra quasi che esse si muovano solo per ottenere risultati da rivendicare al proprio interno. Così facendo, l'immagine del farmacista nel suo insieme non riesce ad emergere. Eppure le altre professioni riescono a presentarsi alle istituzioni e all'opinione pubblica in modo diverso. Ricordate all'inizio della pandemia, quando da un lato c'erano i medici ospedalieri considerati eroi e quelli di medicina generale che non rispondevano al telefono? Ebbene, neppure in quel caso si sono percepite polemiche interne e tutta la categoria dei medici ha lavorato nella stessa direzione per rafforzare il proprio ruolo e la propria immagine. Noi non ci riusciamo, e dovremmo iniziare a darci delle risposte sul perché ciò continui ad accadere. Questo mio pensiero non vuole essere un atto di accusa, io per primo mi sento coinvolto, bensì un voler condividere uno stato d'animo e un voler dare uno stimolo verso un percorso di miglioramento. Questo cambio di passo, a mio avviso, è necessario e Utifar è pronta a ragionare con le altre organizzazioni dei farmacisti per trovare un'unione di intenti che possa rafforzare l'immagine di tutta la categoria.
Se le nostre organizzazioni faticano a lavorare in modo coeso, è anche vero che noi singoli farmacisti ci mettiamo del nostro per delegittimare la nostra immagine professionale.
La forte pulsione commerciale che anima molti colleghi viene percepita all'esterno come una scelta ben precisa di abbandonare la professionalità per seguire i settori che garantiscono (o sembrano garantire) maggiori profitti. Così, quando si entra in una farmacia, si notano subito gli espositori di giocattoli e di solari, ma non si vede quasi mai il laboratorio galenico e un farmacista che ci lavora. Nonostante queste considerazioni amare, rimango convinto che esistano ancora dei margini per rivalutare la nostra immagine professionale. La campagna vaccinale contro il Sars-cov2 è solo agli inizi e, come già accade in Inghilterra e in altri Paesi, le farmacie potrebbero essere coinvolte e diventare parte attiva di questo grande progetto sanitario. Anche se non si riuscirà, da un punto di vista normativo, ad essere autorizzati a vaccinare, mettiamoci a disposizione con la nostra professionalità, con le nostre strutture per far abituare i cittadini e la politica a vedere la farmacia come un punto di riferimento per le vaccinazioni. Sarà un investimento per insistere sull'autorizzazione e abilitazione del farmacista a vaccinare attivamente.
è un'occasione da cogliere. Non sarà certamente l'ultima, ma, di certo, questa non possiamo lasciarcela scappare.

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