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02 settembre 2019
Richiesta

Con riferimento alla vostra risposta al quesito “Soci amministratori”, pubblicata sul numero 5/2019 a pag. 61, volevo chiedere un chiarimento sul fatto che un dipendente (Inps) possa diventare socio della stessa Farmacia (Srl), mantenendo il contratto di lavoro di lavoratore subordinato.

Consulenza

La questione merita due evidenze. La prima in merito al regime delle incompatibilità da Lei richiamate che si applica ai soci che prestano opera in altre farmacie e non nella propria. La seconda in merito al rapporto di lavoro subordinato in quanto nel precedente quesito si faceva riferimento solo al ruolo di socio amministratore. Ebbene, l’inquadramento del socio lavoratore nelle società a responsabilità limitata ha da sempre creato qualche problematica, soprattutto nelle piccole e medie imprese.
Innanzitutto occorre fare una netta distinzione tra:
· socio prestatore d’opera;
· socio dipendente.
Il primo presuppone che la partecipazione del socio al capitale sociale preveda l’apporto del proprio lavoro a titolo di conferimento; di conseguenza, il venir meno di questa condizione può determinare l’esclusione del socio stesso dalla società.
Non è corretto parlare di rapporto di lavoro, bensì di apporto di un conferimento a fronte della partecipazione alla società.
Il secondo, cioè l’inquadramento del socio come dipendente, contrariamente al precedente, presuppone l’instaurazione di un vero e proprio rapporto di lavoro e, come tale, si può configurare al ricorrere di tre condizioni strettamente necessarie:
· subordinazione al potere di direzione del datore di lavoro;
· continuità della prestazione resa oggetto del contratto di lavoro subordinato;
· onerosità della prestazione pattuita nel contratto di lavoro.
Tali condizioni risiedono nel novellato disposto all’art. 2094 c.c., che definisce “il prestatore di lavoro subordinato come colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Per ciò che concerne il primo punto, occorre precisare che conditio sine qua non affinché si possa parlare di effettiva datorialità è che il socio “dipendente” non parteci al capitale sociale con una percentuale che gli affidi il potere di direzione e controllo e che il suo voto nelle delibere assembleari risulti determinante alle decisioni oggetto delle stesse. Appare ovvio escludere quindi l’Amministratore Unico dai soggetti inquadrabili come dipendenti all’interno della società, nel rispetto dell’eterodirezione che configura il rapporto di lavoro subordinato.
Sulle altre condizioni risulta abbastanza ovvio che il rapporto di lavoro tra il socio e la società a cui quest’ultimo partecipa si svolga con continuità nel rispetto delle condizioni previste dal contratto di lavoro e che lo stesso socio “dipendente” a fronte del proprio lavoro venga retribuito secondo le pattuizioni previamente stabilite. Pertanto, l’inquadramento del socio come dipendente della Srl alla quale costui partecipa non si può escludere, ma deve necessariamente tenere conto di alcune condizioni affinché si rispetti il vincolo di subordinazione tra le due parti.
In caso contrario è valutabile che lo stesso socio si configuri come prestatore d’opera all’interno della propria Società.
Ovviamente resta fermo quanto già esposto nella precedente risposta ovvero una verifica sulla convenienza fiscale e contributiva.

Avv. Paolo Leopardi

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