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01 maggio 2008
Richiesta

Sono un farmacista collaboratore di farmacia privata che lavora con contratto a tempo indeterminato da sette anni nella stessa farmacia. Vorrei sapere se mi è consentito intraprendere la libera professione proseguendo il rapporto di lavoro con la stessa e unica farmacia, o se questa nuova posizione mi obbliga a fatturare per più datori di lavoro. Potrebbero altrimenti esserci problemi con l'Ispettorato del lavoro?
Vorrei inoltre chiedervi se un libero professionista è tenuto a stipulare una propria assicurazione per la responsabilità civile verso terzi e se questa posizione comporta una maggiore assunzione di responsabilità (es. per errore nella dispensazione del farmaco) rispetto alla posizione di dipendente.

Consulenza

Se ho ben compreso Ella desidera interrompere il rapporto di lavoro subordinato e "trasformarlo" con lo stesso committente in attività libero professionale. Personalmente, pur non intravedendo una scelta "stravolgente" dal versante giuridico, mi si sollevano parecchie perplessità.
Cosa cambia se non la forma contrattuale e le forme di pagamento rispetto al passato? Forse nulla. Il pericolo è la supposizione da parte dell'organo competente di una forma di simulazione del contratto di lavoro subordinato mascherato da libera professione.
L'efficacia di un contratto può essere inficiata o dalla presenza di un vizio - che, a seconda dei casi, può comportarne l'assoluta inefficacia fin dal momento della sua conclusione, come nel caso dell'inesistenza o della nullità, ovvero l'efficacia a titolo precario fino alla pronuncia di una sentenza costitutiva da parte di un giudice, come nel caso dell'annullamento o della rescissione - o dalla presenza di elementi accessori espressamente voluti dalle parti e resi palesi ai terzi, come nel caso del termine e della condizione.
Vi è anche un'altra ipotesi in cui il negozio può risultare totalmente privo di effetti ovvero dotato di una efficacia diversa rispetto a quella fatta palese dal testo del regolamento negoziale: quella della simulazione appunto.
Questa -in senso generale e preliminare - altro non è se non un accordo concluso fra le parti e diretto ad incidere su un altro negozio giuridico, impedendone in toto la produzione di effetti giuridici (simulazione assoluta), ovvero facendone derivare effetti difformi rispetto a quelli propri del modulo negoziale adottato e reso pubblico (simulazione relativa).
La simulazione, pertanto, si compone di due negozi giuridici indipendenti l'uno dall'altro - nel senso di separati e distinti - ma comunque collegati fra di loro:
1 il primo (contratto simulato) destinato ad ingenerare l'apparenza nei confronti dei terzi e, dunque, ad essere reso pubblico;
2 il secondo (contratto dissimulato) diretto a privare il primo dei suoi effetti o a farne derivare di diversi.
Il rischio è che l'Amministrazione finanziaria possa muovere tale eccezione e supporre che l'atto sia stato posto in essere per evitare la maggiore contribuzione a carico del datore di lavoro.
In effetti le differenze tra i due tipi di rapporto si possono così sintetizzare:
Lavoro subordinato e parasubordinato, lavoro autonomo e collaborazioni a carattere continuativo o saltuario: sono molteplici le forme con cui un'attività lavorativa può essere resa, ed i confini tra le stesse non sono sempre facili da tracciare, pur essendo di estremo rilievo; infatti, per ognuna delle varie tipologie, trova applicazione una disciplina differente, sia sul piano normativo che fiscale. Questa difficoltà di distinguere in modo preciso le diverse tipologie di lavoro dipende, in primo luogo, da una scelta del legislatore, che non ha ritenuto di specificare in modo analitico i tratti distintivi delle stesse.
Infatti, il Codice Civile, che costituisce la principale fonte normativa al riguardo, si limita a qualificare in modo abbastanza generico le due principali categorie, ovvero quelle del lavoro subordinato e del lavoro autonomo.
Così, ad esempio, l'articolo 2094 c.c. definisce lavoratore subordinato colui che si impegna, a fronte di una retribuzione, a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore, senza ulteriori specificazioni. Si ha, invece, un contratto d'opera, e quindi una prestazione di lavoro autonomo, quando ci si obbliga a rendere in prima persona un'opera o un servizio "senza vincolo di subordinazione" (art. 2222 c.c.).
Si tratta, come si vede, di definizioni di carattere generale; se poi si considera che è del tutto estranea alla normativa codicistica la nozione di collaborazione coordinata e continuativa (talora qualificata come parasubordinazione, in virtù della prossimità al lavoro subordinato, ma da ricondursi alla più generale categoria del lavoro autonomo), ben si comprende come non sia per nulla agevole inquadrare in modo sistematico tali istituti.
Innanzitutto, è bene precisare come neppure la stipulazione di accordi, che qualifichino un rapporto di lavoro in un modo piuttosto che in un altro, sia decisiva. Laddove un rapporto abbia effettivamente natura subordinata insorgono, indipendentemente dalla volontà delle parti, determinati obblighi inderogabili, specie di natura contributiva e questo è il pericolo cui accennavo. Pertanto, si rende sempre e comunque necessario, laddove si tratti di valutare la reale natura del rapporto stesso, esaminare, in concreto, le caratteristiche con cui questo si svolge o, se cessato, si è svolto.
A tal fine, la giurisprudenza ha individuato una serie di indici, alcuni più importanti, altri secondari, la cui verifica è utile per potere valutare se un rapporto lavorativo sia caratterizzato da subordinazione o autonomia.
Tra gli indici di cui si deve tenere conto, quello che comunemente si ritiene assumere particolare importanza nel rivelare la natura subordinata del rapporto riguarda il pieno assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
In concreto, tale assoggettamento significa operare secondo orari di lavoro indicati dall'imprenditore, nei locali aziendali e con strumenti messi a disposizione dal datore di lavoro; svolgere tutte le attività che, di volta in volta, vengono indicate dall'imprenditore e che sono necessarie per il buon andamento dell'impresa; dover richiedere permessi in caso si abbia necessità di assentarsi o non si possa rispettare gli orari previsti; dover comunicare assenze e malattie; dover effettuare le ferie nei periodi indicati dal datore di lavoro, ecc: in una parola, non essere, appunto, autonomi, di determinare tempi e modi della propria attività lavorativa.
Mi pare che il suo lavoro abbia le tipiche caratteristiche del lavoro subordinato, ciò avvalorato dal fatto che Ella continuerà a lavorare con lo stesso committente e che costui, come ha già di per sè evidenziato, è committente unico.
Dovesse correre il rischio (che più che altro gravita sul titolare il quale omette il pagamento di contribuzione INPS, e di pagamento di ferie, malattia e TFR), una pluricommittenza attenuerebbe le eventuali ragioni di un forse non così remoto accertamento.
Per quanto riguarda la copertura amministrativa, pur non sussistendo nessun obbligo al proposito, sarebbe consigliabile la stipula di apposita polizza per quanto riguarda la R.C verso terzi a copertura dei rischi derivanti da possibile azione di rivalsa nei suoi confronti in caso di colpa grave nonchè la stipula di una polizza anti infortuni.

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ABOCA NOVEMBRE METARECOD
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