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L'ATLETA ANZIANO
E' ormai noto che l’attività motoria apporti comprovati benefici sia a livello fisico che a livello psicologico nelle persone anziane, e l’incremento del numero di anziani praticanti regolare attività motoria e sportiva specifica è in continua crescita. Troviamo ultrasettantenni che si preparano e si impegnano in competizioni agonistiche al pari dei loro colleghi atleti più giovani.
Lo sport nella popolazione anziana ha effetti primari a livello psicologico, tra i quali l’aumento delle capacità di socializzazione e l’incremento del senso di autostima ed autoefficacia nelle persone praticanti.
Rappresenta un ottimo strumento di prevenzione per i disturbi depressivi, abbastanza frequenti nella terza età, oltre ad avere altri effetti positivi che l’attività sportiva esercita indirettamente sulla psiche umana, nel soddisfacimento del desiderio di migliorare se stessi.
L’attuale atteggiamento culturale è favorevole alla pratica di attività fisica a tutte le età ed in particolare nell’età matura dove è incoraggiata più come mezzo di prevenzione della malattie cardiovascolari e metaboliche tipiche dell’età adulta-anziana che per gli aspetti tipici della competizione.
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La maggiore richiesta di praticare sport, anche di tipo agonistico, in questa fascia di età può essere giustificata anche da ragioni demografiche che evidenziano un incremento nella percentuale delle persone anziane.
L’Italia è oggi il paese con indice di vecchiaia più alto al mondo, e gli individui con più di 65 anni sono oltre il 20% della popolazione.
Al di là dei possibili scenari previsti per il futuro, emerge chiara la necessità di relazionarsi con la presenza sempre più massiccia di anziani, e con un numero sempre maggiore di persone in età adulto-matura ed avanzata che si rivolgono ai Centri di Medicina dello Sport, per chiedere una visita di idoneità alla pratica dell’attività sportiva agonistica.
Insieme a soggetti che hanno sempre praticato sport e continuano ad allenarsi con assiduità troviamo ex atleti che riprendono l’attività sportiva dopo averla sospesa anche da molto tempo e ancora sedentari che improvvisamente in età matura decidono di cimentarsi nelle competizioni.
Una regolare attività fisica può ridurre il rischio di incidenza di cardiopatie, disabilità e mortalità, ma può anche essere causa di eventi clinici avversi, quali infarti del miocardio o la morte improvvisa.
L’attività sportiva, infatti, pur non rappresentando di per sé una causa diretta di morte improvvisa, può fungere da trigger in presenza di cardiopatia sottostante conosciuta o non, con incidenza che aumenta con l’età, per cui il medico dello sport è chiamato ad una attenta valutazione del soggetto che intende praticare o continuare la propria attività agonistica specifica.
Gli sport praticati dai Master sono i più vari (maratona, ciclismo, nuoto, calcio ecc.) e richiedono una preparazione atletica regolare e sistematica per il raggiungimento di buoni livelli di prestazione.
La partecipazione alle competizioni spinge gli atleti ad impegnarsi in allenamenti regolari di intensità e quantità elevati, a volte addirittura poco compatibili con la condizione fisica e la tipologia del soggetto. Conseguentemente all’allenamento, l’atleta anziano, può presentare modificazioni del cuore e dei vasi sanguigni, più significative negli atleti praticanti sport di resistenza aerobica (endurance) come bradicardia sinusale marcata, aumento della volumetria delle cavità cardiache, degli spessori parietali e della massa ventricolare sinistra, che vanno monitorate.
Nella prescrizione agonistica occorre agire con cautela, cercando di differenziare le modificazioni cardiache indotte dall’allenamento, da quelle tipiche dell’invecchiamento e da quelle patologiche, spesso, in un contesto psicologico improntato alla spiccata competitività, autostima ingravescente ed elevato tono endorfinico, che spingono l’atleta a compiere imprese sportive non consone alla propria performance fisica.
Non dimenticando però, gli effetti favorevoli e benefici dell’attività fisica di tipo aerobico, in particolare nel soggetto iperteso e nel diabetico.
Il principio del connubio tra attività sportiva pura (indirizzata alla competizione) e aspetto terapeutico (finalizzato alla prevenzione) è più che mai attuale.
Gli anziani non possono essere considerati come una categoria omogenea e statica, ma variegata e dinamica per tanti aspetti, per cui non sarebbe scientificamente corretto progettare una forma di attività rigida espressamente rivolta a loro.
A fronte degli effetti positivi dell’esercizio fisico nella prevenzione e nel trattamento di numerose affezioni cardiovascolari, esso comporta anche alcuni rischi a carico del cuore, in quanto l’esercizio fisico intenso può scatenare eventi acuti, tra i quali i più temibili sono l’infarto miocardico e soprattutto la morte improvvisa (MI), in presenza di lesioni ed anomalie clinicamente silenti, il più delle volte misconosciute.
La strategia volta a ridurre il rischio di tale infausto evento si basa sulla conoscenza dell’epidemiologia, dell’eziopatogenesi della MI nello sport e comprende lo screening cardiologico preventivo e la defibrillazione precoce nei campi di gara.
Lo screening preventivo ideale, da applicare alla popolazione sportiva dovrebbe essere semplice, non invasivo, economico, facilmente disponibile e con un conveniente rapporto costo/efficacia.
L’anamnesi e l’esame obiettivo, essenziali, ma non sempre sufficienti ad individuare soggetti a rischio di MI; l’aggiunta di ECG, migliora significativamente il potere diagnostico, senza elevarne eccessivamente il costo. Considerando la popolazione adulta-anziana, con più elevata probabilità di malattia coronarica, bisogna effettuare un test ergometrico massimale, con i limiti legati alla specificità e sensibilità.
Se nel corso della valutazione emerge la presenza o il sospetto di anomalie cardiovascolari, deve essere valutata la necessità di ulteriori indagini privilegiando dapprima quelle non invasive (ecocardiogramma, holter, scintigrafia miocardica, RMN e TAC cardiache ecc.) e poi quelle invasive (coronarografia, studio elettrofisiologico). Esistono specifici protocolli per il giudizio di idoneità allo sport negli atleti con anomalie cardiovascolari.
Il medico dello sport dovrà permettere l’agonismo soltanto dopo aver scrupolosamente seguito le tappe previste dai protocolli, e dovrà anche essere in grado di proporre un’attività fisica congeniale ai gusti, alle possibilità, alle esigenze dell’atleta, in modo che possa essere praticata, proseguita nel tempo, ottenendo il massimo dei benefici a fronte di rischi marginali.
Gli adattamenti cardiovascolari, metabolici e muscolari indotti dall’esercizio fisico, verificabili strumentalmente, con l’acquisizione di un maggior senso di benessere psicofisico, strettamente correlato ad un miglioramento significativo della qualità della vita e della capacità funzionale globale, e la riduzione del rischio cardio-vascolare, convalidano lo sport, come strumento efficace di prevenzione e terapia delle malattie croniche stabilizzate, diventate oggigiorno un problema sanitario e sociale, causa di importanti ripercussioni sul piano assistenziale ed economico.