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16 settembre 2010
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Rif. rivista Settembre - Ottobre 2010

Come è cambiato, negli anni, il sistema di remunerazione delle farmacie?
Ripercorriamo le revisioni normative in vista di una nuova, inevitabile, evoluzione.
L'argomento, evidenziato un anno fa nel convegno Utifar di Roma, è oggi divenuto di estrema attualità

Una volta, l'utile lordo sui medicinali di qualunque genere era, per la farmacia, il 25%. Potevano intervenire variazioni nell'ordine di piccole quote percentuali, generalmente in più, sempre applicate a tutte le tipologie di farmaci. Si parlava inoltre di "sconto" sul prezzo al pubblico in quanto determinato dallo Stato tramite il CIP, il comitato interministeriale prezzi. Se l'acquisto avveniva "direttamente" il margine saliva al 33% o più, nell'ambito di una libera contrattazione commerciale. Tale situazione si protrasse fino all'entrata in vigore, il 1°; gennaio 1997, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 che determinò una vera e propria svolta nel sistema di remunerazione della farmacia. La legge stabilì i margini per tutte le componenti della distribuzione dei farmaci: 66,65%, per le aziende farmaceutiche, 6,65% per i grossisti e 26,7% per i farmacisti. Tutto ciò fu previsto limitatamente ai medicinali erogabili a carico, totale o parziale (all'epoca era ancora vigente la fascia B) del Servizio sanitario nazionale, lasciando implicitamente libero il margine relativo ai medicinali di fascia C. Non è una questione marginale, perché, di fatto, si venne così a stabilire che, per i medicinali a totale carico del cittadino, lo Stato si limitava a pretendere l'unicità sul territorio nazionale del prezzo di vendita al pubblico, non incidendo sulla spesa pubblica né il prezzo né gli utili delle varie componenti la filiera. Nel frattempo, era già intervenuta la legge finanziaria per il 1996 (legge 549/1995) con l'imposizione di uno sconto al Ssn, ed a carico delle farmacie, del 3% ridotto all'1,5% per le rurali.

Lo sconto al Ssn

Il fatto più dirompente fu costituito però dalla introduzione, con la stessa legge, dello sconto obbligatorio, a carico delle farmacie ed a favore del Scn, in misura progressiva in relazione al prezzo di vendita al pubblico. Le percentuali furono stabilite nel 3,75% per le specialità medicinali di costo fino a lire 49.999, nel 6% per quelle da 50.000 a 99.999, nel 9% per quelle tra 100.000 e 199.999 e nel 12,5% per quelle con prezzo da lire 200.000 in su. Successivamente, la legge 27 dicembre 2002, n. 289 modificò tali percentuali introducendo un ulteriore aliquota del 19% per le specialità medicinali con prezzo superiore ad euro 154,94 e prevedendo che lo sconto del 12,5% fosse applicato alla fascia tra euro 103,29 ed euro 154,94. Erano fatte salve, da tale progressività dello sconto, le farmacie rurali sussidiate alle quali veniva mantenuto lo sconto del 1,5% e quelle (rurali o urbane) con fatturato fino a 500 milioni di lire (€ 258.228,45) per le quali gli sconti progressivi venivano ridotti del 60%.

Le farmacie rurali

In tutti i provvedimenti che hanno, di fatto, ridotto l'utile per le farmacie, si deve dare atto che, sebbene non sempre spontaneamente e con immediatezza, è stato previsto una sorta di ombrello di protezione per le farmacie rurali e disagiate. Di scarso rilievo sarebbe descrivere tutti i provvedimenti che, nel tempo, hanno operato in tal senso, ma appare evidente come il concetto di "rurale", previsto dalla legge 221 del 1968, sia sempre più ricondotto ad una diversa realtà comprendente le farmacie a basso fatturato nell'ambito del Ssn. Anche qui i tetti di fatturato, al di sotto dei quali si applicano le condizioni più favorevoli, sono oggetto di una controversa interpretazione da parte di alcune Asl che vorrebbero comprendere nel fatturato Ssn anche gli importi relativi all'assistenza integrativa, disposta con provvedimenti regionali, in palese contrasto con lo spirito di tutte le norme in materia che permettono agilmente di considerare, a tal fine, solamente le competenze relative ai medicinali, con esclusione di presidi medico-chirurgici, articoli sanitari, alimenti ecc.

La legge "Abruzzo"

Anche questo capitolo contribuisce ad intricare la "giungla" dei margini. Le provvidenze a favore della popolazione, pesantemente colpita dal sisma del 6 aprile 2009, sono state solo un pretesto per un ulteriore salasso dell'1,4% alla farmacia che era già nell'aria da tempo. L'occasione è stata la "scoperta" che sui medicinali generici, o "equivalenti" che dirsi voglia, il margine di utile praticato alle farmacie era ampiamente superiore a quello previsto dalla legge per le specialità medicinali. Tutti lo sapevano ma nessuno parlava; fino a che la situazione è stata denunciata dalle regioni mettendo in luce però una prassi che, più che ai farmacisti, dovrebbe far guardare all'industria. Infatti, se le aziende si potevano "permettere" di praticare sconti di quella portata, voleva dire che c'era qualcosa che non tornava nell'intero sistema di remunerazione dei vari soggetti coinvolti nella produzione e nella distribuzione dei farmaci, e non solo dei generici. Anche questa legge ha "graziato" le rurali, ma solo quelle più disagiate. Il legislatore ha però qui usato la mano pesante prevedendo anche una sanzione pecuniaria nel caso del mancato rispetto dei margini spettanti ai produttori, grossisti e farmacisti, rispettivamente 58,65%, 6,65% e 26,7% e lasciando libero l'8% restante da ripartirsi tra grossista e farmacista. La farmacia può così contare, per i generici, su di un potenziale utile massimo del 41,35% per gli acquisti diretti. Per la farmacia la sanzione, in caso di violazione, vada 500 a 3000 euro e, in caso di reiterazione può essere disposta la chiusura della farmacia per non meno di 15 giorni.

La manovra finanziaria del 2010

Nel predisporre una serie di norme finalizzate al contenimento della spesa pubblica, il Governo, approvando il D.L. 78/2010, ha di recente introdotto l'ennesimo intervento sulla spesa farmaceutica. Tale provvedimento ha imposto sacrifici a tutti i soggetti coinvolti, concentrando tuttavia l'attenzione sui margini della farmacia attraverso l'introduzione di un ulteriore sconto del 3,65% che si aggiungeva agli sconti già in precedenza stabiliti e dei quali si è detto più sopra. Nel testo del decreto legge non è stata nemmeno presa in considerazione la situazione di disagio delle farmacie rurali, essendo previsto il prelievo a carico di tutti gli esercizi. Solo in sede di conversione in legge lo sconto è stato poi "spalmato" tra l'industria e la farmacia, rimanendo a carico di quest'ultima l'1,82%. L'operazione attuata e contenuta nell'art. 11 del D.L. 31.05.2010, n. 78 convertito nella legge 30.07.2010, n. 122 ha, di fatto, preso atto di quanto era nelle consuetudini commerciali che vedevano la farmacia ottenere dalla distribuzione intermedia un utile percentuale maggiore rispetto al 26,7 previsto, trasferendo il 3,65% di questo utile dal grossista alla farmacia che viene così ad avere, per legge, il 30,35 di utile, sul quale vanno applicati sia gli sconti per fasce di prezzo che l'ulteriore sconto del 1,82%. Vengono anche esentate le rurali sussidiate con fatturato annuo Ssn fino ad euro 387.324,67 e le altre farmacie con fatturato Ssn non superiore a euro 258.228,45. Il problema sopra evidenziato, circa la tipologia dei beni fatturati alle Asl per la determinazione del tetto oltre il quale non spettano le agevolazioni, risulta ora ancor più rilevante stante l'ulteriore sconto introdotto a carico delle farmacie non esenti.

I farmaci senza obbligo di prescrizione

Descrivendo il "percorso a ostacoli" in cui la farmacia è stata costretta a procedere in questi ultimi anni, non può essere trascurata la vicenda legata alla legge di liberalizzazione, nota anche come "decreto Bersani" che, partendo da un percorso già iniziato, ha definitivamente equiparato il farmaco senza obbligo di prescrizione ad un qualsiasi altro bene per quanto riguarda il prezzo di vendita che oggi è totalmente libero e lasciato alla scelta, non sempre facile, del farmacista, in relazione ad una logica commerciale che dovrebbe tenere conto del prezzo di acquisto, della concorrenza, della tipologia degli utenti e, inoltre, delle campagne pubblicitarie in atto. I medicinali coinvolti in questo sistema sono gli Otc, i Sop ma anche, nonostante non fossero negli obiettivi della legge, i medicinali veterinari senza obbligo di prescrizione e gli omeopatici per uso umano. Per completezza deve essere ricordato che i medicinali veterinari, con obbligo di prescrizione, hanno, sì, un prezzo riportato sulla confezione ma, fin dal 1992, questo prezzo è considerato come "massimo", lasciando quindi la possibilità di praticare sconti al consumatore finale.

La tariffa nazionale

Trattando dei margini di remunerazione non può essere dimenticato un aspetto che sembra interessare pochi. La "Tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali" è prevista dall'art. 125 del Testo unico delle leggi sanitarie stabilendo che, per la determinazione del prezzo al pubblico dei medicinali magistrali, tale tariffa sia aggiornata ogni due anni a cura del Ministero della sanità (oggi "della salute") sentita la Federazione degli ordini dei farmacisti. Ebbene l'ultima edizione della tariffa risale al 18 agosto 1993 senza che sia mai stato sollevato il problema e ponendo così in seria difficoltà le farmacie nel momento della tariffazione di quelle preparazioni le cui sostanze hanno un prezzo, imposto dalla obsoleta tariffa nazionale, largamente inferiore rispetto ai valori del mercato attuale delle materie prime. Anche tale problematica dovrà essere affrontata nell'ambito della revisione dei criteri di remunerazione della farmacia. Il nuovo sistema di remunerazione Utifar ha affrontato il problema dei margini della farmacia con il convegno dal titolo "La farmacia italiana tra remunerazione e spesa farmaceutica: confronto con l'Europa", tenutosi a Roma il 17 ottobre 2009. Il convegno ha visto la presenza sul banco dei relatori, oltre al Presidente di Utifar Eugenio Leopardi, il senatore Luigi D'Ambrosio Lettieri, i presidenti di Fofi, Federfarma e Assofarm, le rappresentanze dell'Industria dei distributori e di Federfarma Servizi ed il Dottor Peter Burkard vice-presidente della Società svizzera dei farmacisti che ha illustrato il sistema di remunerazione in vigore in Svizzera ed in alcuni altri paesi europei dove, nell'ambito dell'assistenza farmaceutica pubblica, è adottato un sistema misto comprendente una quota fissa più una percentuale sul valore del medicinale. Dall'ottobre dell'anno scorso ad oggi, la scintilla scoccata dal convegno Utifar ha portato addirittura ad una norma di legge. La legge di conversione del decreto legge 78/2010 infatti stabilisce l'avvio, entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore (cioè entro la fine di settembre) di un confronto, con la partecipazione di tutte le componenti coinvolte, "per la revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica". La legge anticipa anche che tali criteri debbono comprendere una quota fissa più una "ridotta" percentuale sul prezzo di riferimento del farmaco. Si tratta senz'altro di una svolta epocale che ci si augura - metta fine alla vera e propria giungla in cui la farmacia italiana deve faticosamente muoversi.

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